Il Blog di Roy
Prostituzione Maschile: A che Punto Siamo?
Una delle più comuni critiche indirizzate al mondo della prostituzione maschile per donne mira a indicare tale attività non come un lavoro, piuttosto come una forma di sussistenza parassitaria guidata dalla basilare volontà di ottenere il massimo con il minimo sforzo, in parole povere, la prostituzione non sarebbe un lavoro poiché è un attività praticata da persone che hanno poca voglia di lavorare.
Questo, prestando attenzione ai racconti di Roy, nel libro “Amore in contanti” non sembra corrispondere alla realtà.
Benchè Roy affermi altrove, la fatica, una parola troppo difficile anche da scrivere perché non mi si addice, racconta poi di un suo passato come inesauribile bodybuilder e, nel suo lavoro di gigolo, s’illustra come un instancabile professionista che viaggia a Roma, Torino, Milano e in altre città italiane ma anche all'estero per raggiungere le clienti, scrive e tiene aggiornati i suoi vari canali internet, si coltiva culturalmente per avere argomenti e modi e, naturalmente, si presta agli eventuali atti sessuali, anche se essi rappresenterebbero il meno dell’impegno fisico.
In realtà Roy non schiva la fatica, anzi, sempre in cerca di esperienze e sensazioni, egli risulta costantemente in movimento. Piuttosto, la fatica alla quale fa riferimento è una realtà, a partire dall’esempio paterno, fatta di occupazioni ripetitive che non permettono alla sua soggettività e creatività di emergere.
Se Roy ottenesse un lavoro socialmente certificato e di pochissima fatica, seduto dietro una fantozziana scrivania, ebbene egli percepirebbe questa mansione come un’immane fatica. La vera difficoltà, infatti, sarebbe accettare la mediocrità che lui attribuisce a dimensioni socio-lavorative nelle quali non può rappresentarsi liberamente e pienamente.
Mi domando, d’altra parte, quanti di noi non si sentirebbero frustrati, o avvertirebbero di condurre una vita mediocre, se questa discostasse enormemente dalle nostre attitudini, dal nostro essere. In alternativa, si potrebbe disquisire sul fatto che vendere il proprio corpo sia o meno un lavoro.
Cosa vuol dire prostituirsi in Italia? Possiamo considerarlo un mestiere?
Di certo prostituirsi è un Labor, una fatica, un impegno fisico diciamo pure superiore allo stare seduti ad una scrivania. Questo, a meno che non si voglia resuscitare la vecchia dicotomia fra corpo e mente, che vede l’impegno della seconda come più serio, più gravoso, quindi più pesante di quello espresso dal primo, confondendo i concetti di complessità con quelli di fatica e dimenticando che un impegno mentale è presente in qualsiasi attività umana, quindi anche nell’atto sessuale.
Dai racconti di Roy si evince che l’impegno profuso da un gigolò non sia poco, l’accusa di minimo sforzo ne uscirebbe quindi sgretolata, benchè la proporzione fra Labor e guadagno sia notevole, almeno se confrontato ad uno stipendio medio.
Tuttavia l’ambito prostitutivo non è l’unico che si caratterizzi per una sproporzione fra il valore intrinseco di ciò che viene venduto e quanto viene sborsato per acquistarlo. L’ambito della moda offre un buon esempio di prodotti con un contenuto costo di produzione ad un elevatissimo prezzo al dettaglio ma, dopotutto, è il mercato che ne determina il valore.
Soprattutto nel voler differenziare fra vendita del proprio corpo, diciamo pure della funzione dei propri genitali, e vendita di una competenza intellettiva, andrebbe accettato il paradossale presupposto che il cervello umano non sia un organo come gli altri e che, quindi, ciò che è lavoro mentale non sia in definitiva vendita di una funzione fisiologica, qual è anche un’erezione. Eppure nessuno discute sul fatto che sia un lavoro ortodosso quello compiuto da uno scaricatore di merci che presta la forza muscolare delle proprie braccia, delle gambe e della schiena a una mansione che, senza voler offendere nessuno, ha poco di concettuale.
E’ palese, dunque, che la prostituzione fatichi ad essere riconosciuta come lavoro non per sue caratteristiche intrinseche ma per le presupposte peculiarità psicosociali negative degli attori in campo, cioè chi si prostituisce e chi paga. Che tali soggetti siano fragili, disturbati, immorali, da aiutare o da sanzionare è, ovviamente, un punto di vista adottato principalmente da attori esterni al fenomeno che, nel supportare la propria tesi, possono far leva su diverse questioni.
Si può attaccare la prostituzione appellandosi a problemi di ordine pubblico e criminalità, oppure fare perno su studi psicologici che avrebbero dimostrato la fragilità psichica di chi vende il proprio corpo e di chi cerca di comprare sesso o, ancora, ci si può arroccare su posizioni morali ed etiche che promanano dalla religione o da letture oltranziste della realtà sociale vista come eterno campo di battaglia fra il genere maschile e quello femminile.
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